L’intelligenza emotiva e la responsabilità dei genitori

L’intelligenza emotiva e la responsabilità dei genitori
L‘intelligenza emotiva serve per godere di una buona salute psicologica.

La persona con una buona intelligenza emotiva è consapevole del proprio vissuto emozionale, sa, cioè, tradurre in parole ciò che sta vivendo. Questa consapevolezza gli permette di autosservarsi senza essere travolto dalle emozioni al punto tale da perdere il controllo delle proprie azioni, riuscendo, prima degli altri, a liberarsi da stati d’animo negativi.
Chi raggiunge la consapevolezza delle proprie emozioni e diventa capace di comunicarle agli altri, diventa una persona autonoma, sicura dei propri limiti, in grado di vedere la vita da una prospettiva positiva. Ha inoltre buone capacità relazionali, decisionali e raggiunge il successo anche in ambito professionale.

La questione è: si nasce o si diventa emotivamente intelligenti? La seconda.
Per entrare in contatto con le nostre emozioni e diventare capaci di gestirle, abbiamo bisogno che qualcuno ci insegni a farlo. Chi può e dovrebbe farlo? I genitori.

Tra i tanti compiti e responsabilità del genitore, una delle più importanti riguarda l’insegnamento della comprensione ed espressione delle emozioni.
Oltre a insegnare a mangiare, camminare e parlare gli adulti dovrebbero educare il bambino all’ascolto di sé, del proprio mondo emotivo e della traduzione in parole di ogni emozione. Cosa non facile, ma importantissima.

Spesso gli adulti non si occupano di questo insegnamento per svariati motivi: o non ne sono capaci perché loro stessi faticano a gestire le proprie emozioni; oppure sono spaventati dalle emozioni negative quali paura, rabbia e tristezza e non ammettono che i bambini possano provarle. L’idea è che il bambino non debba essere triste, se lo è c’è qualcosa che non va in lui o nei suoi genitori e  questa convinzione porta il genitore a  disconfermare o ignorare l’emozione del bambino (ex “Non c’è niente di cui aver paura”). Se il genitore disapprova le emozioni del bambino con un atteggiamento critico e poco empatico e addirittura punisce il bambino per le emozioni negative, potrebbe portare il bambino a convincersi di avere qualcosa di sbagliato dentro e a sviluppare una bassa autostima e poca intelligenza emotiva.

Il genitore deve fare da specchio emotivo per il bambino: riflettendogli quelli che sono i suoi sentimenti e dando un nome preciso alle emozioni semplici quali PAURA, RABBIA, TRISTEZZA, GIOIA, SORPRESA E DISGUSTO, il bambino potrà conoscersi, riconoscersi e sentirsi compreso. Se il bambino proverà emozioni negative non si sentirà quindi in colpa o in difetto.
Il genitore consapevole delle proprie emozioni che non teme di parlare di emozioni, anche delle proprie e sa porre limiti al comportamento sbagliato, soprattutto se dannoso per il bambino o per gli altri, insegna al bambino a prendere consapevolezza dei propri sentimenti e gli fornisce strategie per regolarli.

Facciamo degli esempi:

Se siamo particolarmente arrabbiati, piuttosto che perdere il controllo (utilizzando parole che possono ferire entrambi) è bene far interrompere l’azione verbalizzando il proprio stato interiore (“in questo momento sono molto arrabbiata”) ed eventualmente rimandare a più tardi il discorso sulle motivazioni per le quali quella particolare azione aveva creato tanta tensione.

Se capiamo che il nostro bambino è arrabbiato perché magari ha litigato con un amico possiamo dirgli che ci dispiace che lo sia, dirgli che lo capiamo e raccontargli che anche il nostro collega oggi ci ha fatto arrabbiare.

Se il bambino è triste è bene pronunciare la parola TRISTEZZA e dare la possibilità al bambino di raccontarci cosa l’ha fatto diventare triste: questo momento di condivisione emotiva farà sentire il bambino alleggerito da quest’emozione negativa e consapevole del fatto che esprimere le emozioni e condividerle con gli altri sia salutare e benefico per sé e per la relazione con gli altri.

Se le emozioni rimangono indefinite fanno più paura, sono meno controllabili, il bambino stesso se ne sente schiavo. Anche al bambino spaventano le sue reazioni soprattutto se sono esagerate! Capita spesso, per esempio, sia ai bambini che agli adulti, di esprimere con rabbia la propria paura rendendo impossibile agli altri capire la reale emozione che ha mosso un comportamento. Questo fraintendimento farà sentire non compresi e soli. E anche più arrabbiati.

Se invece impariamo, crescendo, a riconoscere la propria paura e ad esprimerla senza vergognarci e senza temere il giudizio degli altri, si potrà comunicare in modo efficace perché permetteremo agli altri di sintonizzarsi sui nostri sentimenti.

Per captare le emozioni degli altri bisogna andare oltre le parole e leggere i messaggi che viaggiano su canali di comunicazione non verbale: il tono della voce, i gesti, le espressioni del volto, …Raramente le emozioni dell’individuo vengono verbalizzate, quindi è necessario osservare il bambino, usare l’immaginazione, mettersi nei suoi panni e provare ad assumere il suo punto di vista con grande capacità empatica. L’empatia è, infatti, la capacità di entrare in sintonia emozionale con gli altri, di capire come un altro essere umano “si sente”.

In definitiva, a cosa serve l’intelligenza emotiva? Perché è importante che i genitori aiutino i bambini a svilupparla? Cosa succede se il bambino non diventa consapevole delle proprie emozioni e non impara a gestirle?

Immaginate se tutta la vostra vita fosse governata dalla razionalità pura. Pensate, per esempio, alle vostre decisioni, quelle importanti ma anche quelle di tutte i giorni. La logica formale da sola non vi avrà guidato nella scelta di chi sposare, di chi fidarvi e neppure nella scelta del vostro posto di lavoro. Ma anche la semplice scelta di cosa mangiare, di cosa indossare, non sarà mai stata basata esclusivamente su criteri logici.

Dunque, il ruolo fondamentale dell’emozione è quello di guidarci nelle scelte della vita.

Le conseguenze di una scarsa intelligenza emotiva si riversano sulle nostre capacità relazionali, in modo più o meno grave. Seri problemi di regolazione emotiva possono compromettere il nostro quotidiano perché impediscono di avere sane relazioni amicali o sentimentali, di inserirci positivamente negli ambienti scolastici e professionali, riducendoci ad un uno stato di isolamento.

Un’emozione non regolata, non elaborata, si esprime in un agito. L’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva potrebbe spiegare la tendenza di alcuni soggetti a liberarsi da tensioni causate da stati emotivi non piacevoli mediante comportamenti compulsivi quali: l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso, la gelosia ossessiva, etc.
Essere capaci di leggere il nostro stato emotivo e di gestirlo, non solo è una conquista rispetto al nostro benessere interiore, ma ci consente, inoltre, di migliorare la nostra capacità di relazionarci e di comprendere gli altri.

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